A Roma Artemide è identificata con la dea italica e latina Diana. Dea della caccia e della luna.
Figlia di Leto/Latona (divinità della natura figlia di due Titani) e Zeus, era la sorella gemella di Apollo (dio del Sole).
Quando venne il tempo per Latona di far nascere i suoi figli sorsero grandi difficoltà a causa di Era, che irata per il tradimento del marito voleva fare in modo che ella non riuscisse a trovare luogo né in terra né in mare dove partorire. Finalmente trovò Delo, l’isola galleggiante, e diede alla luce Artemide. Sempre a causa della vendetta di Era, ella restò in atroce travaglio per nove giorni e nove notti per partorire Apollo. Artemide aiutò sua madre a partorire, e quindi fu considerata dea del parto.
Le donne si rivolgevano a lei come “soccorritrice nel dolore, lei che dal dolore non viene sfiorata”. La pregavano di porre fine al loro travaglio o facendo nascere il bambino o dando loro una “morte dolce” con le sue frecce.
Quando la dea compì tre anni Latona la portò sull’Olimpo per mostrarla a Zeus.
Nell’Inno a Artemide il poeta Callimaco la descrive seduta sulle ginocchia del padre che, estatico “si chinava su di lei e la carezzava dicendo: quando le dee mi portano figlie come questa, la collera della gelosia di Era mi turba assai poco. Figlioletta mia avrai tutto ciò che desideri”
Artemide chiese arco e frecce, una muta di cani con cui andare a caccia, ninfe che l’accompagnassero, una tunica abbastanza corta per correre, terre selvagge e montagne come luoghi tutti suoi, e castità eterna: tutte cose che il padre le concesse, assieme anche al privilegio di fare sempre le sue scelte personalmente.
Artemide quindi si recò nei boschi e presso il fiume per scegliere le ninfe più belle. Andò sulle rive del mare in cerca dei Ciclpi affinché le forgiassero un arco d’argento e le frecce. Poi, con l’arco in mano, seguita dalle ninfe, andò a trovare Pan e gli chiese alcuni fra i suoi migliori cani da caccia. Impaziente poi di provare i doni ricevuti, siccome stava calando la notte, andò a caccia a lume delle torce.

Artemide rimase vergine, eternamente giovane e selvaggia, si compiaceva soltanto della caccia.
Come il fratello è armata d’arco. Se ne serve contro i cervi, che insegue correndo, e anche contro gli umani.
Si attribuiscono alle sue frecce le morti improvvise, sopratutto quelle indolori.
Le vendette di Artemide
È vendicativa, e numerose furono le vittime della sua collera. Con coloro che la offendevano era spietata.
Per difendere Latona, i due figli, appena nati, uccisero il drago che veniva ad attaccarli. Ancora per lei attaccarono e misero a morte Tizio, che cercava di violentarla.
Uno dei suoi primi atti fu, col fratello, di mettere a morte i figli di Niobe. Mentre Apollo, uno dopo l’altro, uccideva i sei ragazzi, che erano a caccia sul Citerone, Artemide uccideva le sei figlie femmine, rimaste a casa.
Questo atto era stato dettato alle due divinità dal loro amore per la madre, che Niobe aveva insultato.
Artemide partecipò al combattimento contro i Giganti. Suo avversario era il Gigante Grazione, ch’ella uccise con l’aiuto di Eracle. Causò in tal modo la perdita di altri due mostri, gli Aloadi.
Le si attribuisce anche la morte del mostro Bufago (“il mangiatore di buoi”), in Arcadia.
Un altro cacciatore, Atteone, figlio di Aristeo, dovette pure la sua morte alla collera di Artemide.
Atteone aveva inavvertitamente scorto Artemide mentre nuda, si bagnava in una fonte con le sue ninfe. La Dea, infuriata, gli aizzò contro la muta di cinquanta cani dello stesso Atteone, che ella aveva nel frattempo trasformato in cervo; i cani, non riconoscendo il loro padrone nella nuove sembianze, lo sbranarono
Sempre lei è all’origine della caccia di Calidone, che doveva provocare la fine del cacciatore. Dato che Eneo si era dimenticato di sacrificare ad Artemide, allorché offriva primizie dei suoi raccolti a tutte le divinità, ella inviò contro il suo paese un cinghiale di dimensioni eccezionali.
Fra le varie versioni della leggenda di Callisto si attribuisce alla dea la morte della giovane donna, che uccise con una freccia su richiesta di Era, o per punirla d’essersi lasciata sedurre da Zeus, quando Callisto fu trasformata in orsa.
Tutte queste leggende sono racconti di caccia, che mettono in scena la dea selvaggia dei boschi e delle montagne, la quale fa delle belve feroci la sua compagnia ordinaria.
Un episodio delle fatiche di Eracle racconta come l’eroe avesse ricevuto da Euristeo l’ordine di riportargli il cervo dalle corna d’oro, consacrato a Artemide. Eracle, non volendo né ferire né uccidere questo animale sacro, lo inseguì un anno intero.. alla fine, lo uccise. Subito, Artemide ed Apollo si posero davanti a lui, chiedendogli spiegazioni, l’eroe riuscì a calmarli scaricando su Euristeo la responsabilità di quella caccia.
Lo stesso tema appare nella storia di Ifigenia: la collera della dea era già antica contro quella famiglia, ma fu ridestata da un’infelice frase di Agamennone, che, avendo ucciso un cervo a caccia, nel momento in cui aspettava, ad Aulide, il momento favorevole per partire contro Troia, esclamò: “Artemide stessa non avrebbe potuto ucciderlo così!”.
Artemide mandò allora una bonaccia che immobilizzò tutta la flotta; e l’indovino Tiresia rivelò la causa di quel contrattempo, aggiungendo che il solo rimedio consisteva nell’immolare ad Artemide Ifigenia, la figlia vergine del re. Ma Artemide non gradì quel sacrificio. All’ultimo momento sostituì una cerbiatta alla giovane, che rapì e trasportò in Tauride, come assistente al culto che le si tributava in quel paese lontano (la Crimea).

Artemide e Orione
Fra le vittime di Artemide figura anche Orione, il cacciatore da lei amato: una morte non voluta da lei, ma provocata da Apollo, che si sentiva offeso da quell’amore. Un giorno Apollo vide Orione nuotare in mare, con la testa a pelo dell’acqua. Artemide era poco distante. Apollo le indicò un oggetto scuro nell’oceano e le disse che non sarebbe riuscita a colpirlo. Provocata dalla sfida del fratello e non sapendo che stava mirando alla testa del suo amato, ella scoccò la freccia che lo uccise. Successivamente pose Orione fra le stelle e gli diede il suo cane Sirio, stella principale della costellazione del Cane, che accompagnasse nei cieli. Il solo uomo da lei amato fu vittima della sua natura competitiva.
Culto di Artemide
Artemide era onorata in tutti i paesi montagnosi e selvaggi della Grecia: in Arcadia e nel paese di Sparta, in Laconia, sulla montagna del Taigeto; in Elide, ecc.
Il suo santuario più celebre nel mondo greco era quello di Efeso, in cui Artemide aveva assimilato una vecchissima dea asiatica della fecondità.
Gli Antichi interpretavano già Artemide come una personificazione della Luna, che erra nelle montagne. Suo fratello Apollo era anche di solito guardato come la personificazione del Sole. Ma è certo che tutti i culti di Artemide non sono culti lunari e che la dea aveva preso il posto, nel pantheon ellenico, della Dama dalle Belve rivelata dai monumenti cretesi.
Ha anche assimilato culti barbari, come quello di Tauride, caratterizzato da sacrifici umani.
Si faceva di Artemide la protettrice delle Amazzoni, come lei guerriere e cacciatrici, e come lei indipendenti dal giogo dell’uomo.

Attributi di Artemide
Vestita in una corta tunica, armata di un arco d’argento, una faretra colma di frecce sulla spalla, vagava per i boschi con il suo stuolo di ninfe ed i suoi cani.
Veniva associata a molti animali selvatici, simboli delle sue qualità: il cervo, la daina, la lepre, la quaglia per la loro natura sfuggente, la leonessa per la sua regalità e l’orso feroce per il suo aspetto distruttivo.
L’orso era anche degno simbolo del suo ruolo di protettrice dei piccoli. Era anche associata al cavallo selvatico, che vagava libero con i suoi compagni, proprio come lei con le sue ninfe.
In epoca più tarda venne identificata come la personificazione della Luna crescente, insieme a Selene (la Luna piena) ed Ecate (la Luna calante).
Quale dea della luna viene rappresentata con in mano una torcia e con il capo circondato dalla luna e le stelle.
leggi gli inni omerici a lei dedicati