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Befana o Epifania?

La Befana è una “Nonna Natura” le cui origini si perdono nella notte dei tempi.

Nelle dodici notti che seguono il Natale, secondo il folklore popolare, avvengono processioni di spiriti, e spesso queste cavalcate notturne sono guidate dalla dea Diana, e le sue seguaci sono simili a quelle che nel medioevo verranno additate come streghe, ovvero donne che conoscono i poteri naturali delle erbe e che spesso sono descritte a cavallo di scope.

Ha connotati fisici e doti magiche delle streghe e come queste “vola” al seguito di Diana. E’ infatti dagli antichi miti e dalle leggende nordiche che la Befana trae origine:  Holda, Berchta, Egeria, Diana, Ecate, Hestia, Frau Holle, Carnia, Babajaga… in ognuna di queste figure è possibile ravvisare alcuni tratti comuni alla Befana.

Come accadde a molti altri culti pagani, non potendo cancellarli del tutto, la Chiesa li assorbì, e così la Befana divenne la vecchia signora in perenne viaggio per raggiungere il bambin Gesù.

I doni della Befana

Questo personaggio, raffigurato come una vecchia brutta e sdentata a cavallo di una scopa, simboleggia, per alcuni, l’anno vecchio e, per altri, rappresenta Madre Natura che, ormai invecchiata e improduttiva, è destinata ad essere bruciata e dalle sue ceneri risorgerà, rinnovata, in Primavera.

Prima di morire offre piccoli doni, che simboleggiano i semi grazie ai quali riapparirà giovane e splendente in primavera. Secondo un’altra interpretazione, la Befana sarebbe la manifestazione degli antenati di ogni famiglia. Il suo arrivo segna simbolicamente il rapporto tra il mondo dei bambini e quello degli antenati, depositari della tradizione.

Tra i doni che la Befana porta vi era la frutta secca che aveva un valore sacro, infatti nel mondo romano era considerato un dono di buon auspicio. Il carbone invece, oltre ad essere il simbolo di un’energia latente, era considerato anche un amuleto che aiutava a scacciare malanni e disgrazie.

Il rito del falò della strega-Befana, è un rito purificatorio che trova il suo culmine a Febbraio quando si festeggia la Candelora e anche nel periodo del Carnevale, quando si fa un gran chiasso e si accendono grandi fuochi per scacciare i “demoni” dell’oscuro inverno.

Origini

Il suo nome deriva dall’aferisi del latino Epiphània (Pifania, Bifania, Befania, Befana)

Domenico Maria Manni (1690-1788), letterato italiano e Direttore della Biblioteca Strozzi, in una sua dissertazione dal titolo Istorica notizia dell’origine del significato delle Befane ne fa un ritratto piuttosto ambiguo: 

«Si dice che la Befana abiti di soppiatto nella gola dei camini; che vada a zonzo magicamente in tale notte, perché è la festa dei Magi, che pregata lasci regaletti ad alcuni putti nelle loro calze; e altri nullamente ne cerca per forare loro il corpo; a evitare il quale male, il rimedio è trovato di mangiare fave, là che si usa tuttora da molte persone in quella sera (…) sul punto della mezzanotte assume voce e loquela di bestie e ogni altra creatura».

Questa figura ha origini antichissime. Le sue radici raggiungono i culti agrari celebrati allo scopo di propiziare la rinascita della natura.

Le sue antichissime origini risalgono ai tempi dei Romani e dei popoli Celtici. Nella tradizione romana durante la notte della befana si celebrava la Dea Diana protettrice dei campi, signora delle selve, madre della caccia, protettrice dei parti e tutrice della sovranità.

Anche i Celti danzavano e offrivano sacrifici a Frau Holda protettrice dell’agricoltura, entrambe simboleggiavano la Natura madre di tutti gli uomini. 

La dodicesima notte

Questa ambivalenza della Befana, buona come una fata e brutta e cattiva come una strega, nasce probabilmente dal fatto che, in questa figura, sono andate a confluire le tracce di numerose altre figure mitologiche, tradizioni pagane e riti della fertilità.

12 giorni dopo il solstizio d’inverno si pregava Madre Natura di compiere l’ultimo estremo sacrificio: volare sulla terra per renderla fertile ricca di frutti, rigogliosa, capace di messi abbondanti, prima di morire per il gelo dell’inverno e risorgere poi a primavera con i raccolti e il loro rigoglio. Perciò questi popoli cantavano con inni alle dee e facevano riti propiziatori con il fuoco durante questa magica notte. 

Per certi versi la Befana è simile alla Babajaga, la strega russa regina dei morti, benigna soltanto con chi non infrange i suoi divieti, ella sembra voler ricordare che la Natura va rispettata e, come essa stessa muore per rinascere a nuova vita, così l’uomo, osservandola, deve imparare a morire e rinascere ad una condizione più elevata. Il riferimento ai riti d’iniziazione è sempre presente, anche in quest’ultima tradizione che conclude il breve eppur lunghissimo ciclo di queste dodici notti magiche da sempre celebrate per rammentare all’uomo che, come l’inverno preannuncia la primavera, così la morte precede la rinascita, quella rinascita di Sole/Dio fanciullo

Come la Befana, Ecate si spostava in volo.
Ma non solo, come la triplice dea, la Befana non è altro che il terzo aspetto della grande dea connessa alla natura e alla fertilità, che è Fanciulla, Madre e Vecchia. Con il rogo del suo aspetto sterile e invernale, si invita l’anno a compiere una rigenerazione, facendo in modo che la vecchia torni a essere una fanciulla.
La Befana, come Ecate (ce lo ricorda Euripide) dormiva “nei recessi dei focolari”. Era dunque una custode del fuoco, e come ogni antenata solstiziale era una donatrice.

«Tutta la natura la riconosceva e le faceva gran festa, e al suo passaggio fiori meravigliosi crescevano sui prati e sugli alberi innevati e, nelle stalle, gli animali parlavano e confabulavano circa il destino degli uomini; ma guai a sentire queste voci…, chi le avesse mai udite sarebbe morto all’istante. 

Infine la Befana concludeva il suo volo visitando le case degli uomini, per lasciare i suoi doni ai bambini buoni e il carbone a quelli cattivi e, nel far questo, si lasciava cadere giù dalle cappe dei camini perché per lei, quella era la porta magica di ogni casa aperta verso le meraviglie e gli incantesimi del cielo»

E se parliamo di focolare non possiamo non parlare della dea Hestia o Estia.

a tal proposito trascrivo un articolo della classicista Erika Maderna:

La custode del focolare

La Befana e l’eredità di Hestia

l focolare domestico è stato il primo altare. Un tempo ha rappresentato il simbolo della vitalità della polis, e prima ancora del clan famigliare: senza il fuoco non c’è vita, non c’è difesa dai rigori dell’inverno; le radici sono dure e indigeste sotto i denti, il cibo non può godere delle sue liturgie. Ma il focolare è da sempre anche lo spazio incantato del racconto, il tempio domestico preservato da sagge custodi: territorio di veglie, di leggende che spaventano i bambini, del lavoro alacre di dita femminili che si affaccendano al fuso o al telaio. Il luogo del filo, del tessere e del narrare. Il camino è una soglia magica che mette in comunicazione il mondo dei vivi con quello degli antenati, il reale con l’immaginario, il quotidiano con il soprannaturale. Il suo canale è un’apertura verso il trascendente, dove il fumo si incolonna e sale per raggiungere gli dèi: dopotutto è “per fumum”, attraverso il fumo, che l’uomo in origine ha dialogato con il divino. Ma da quel portale, nelle magiche notti del solstizio, anche gli spiriti trovano la strada per farci visita e lasciare i loro doni, a patto che si rispetti la discrezione che ci chiedono, che non si cerchi di “vedere” troppo.

La Befana è un’antica antenata totemica, che nel corso dei millenni ha mutato nome infinite volte. Antica custode del fuoco solstiziale, ha un volto antico dove riverbera quello di dee ancestrali. C’è in lei Hestia, dal sembiante igneo, mobile e baluginante come la fiamma, l’unica che non ha mai avuto simulacri; una dea che non ha vissuto nel mito, ma solo nel rito, permettendo al culto degli antenati domestici di inglobare la dimensione comunitaria, condividendone le liturgie. C’è in lei Ecate, che abitava e proteggeva i focolari. C’è Vesta; c’è la Demetra strega e sciamana, quando compie un rito del fuoco sul piccolo Demofonte, avvolgendolo ogni notte fra le fiamme per donargli l’immortalità; c’è la Baba Jaga del folklore russo, che giace sulla stufa e governa la fuliggine con scopa e attizzatoio. Il fuoco si rinnova anche nei suoi connotati: occhi di bragia, viso fuligginoso.

Intorno al fuoco del camino e alla sua cenere si sono raccolte mille narrazioni confluite nelle fiabe tradizionali. Quante streghe hanno dormito sopra la stufa, quante hanno preso i tizzoni ardenti con le mani o hanno raccolto la fuliggine con la lingua? E quante hanno fatto del camino o della stufa una porta per gli inferi, minacciando bambine e bambini innocenti di cucinarvi le loro carni? Qualche volta, in quella stessa stufa sono finite a loro volta, sconfitte da piccole eroine ed eroi più astuti di loro. Anche Cenerentola è figlia di quelle antiche protettrici del fuoco: un’erede gentile, che conserva l’antico splendore della dea sotto lo strato di cenere che ne annerisce il viso. Eppure, con la sua amabile delicatezza, anche lei è una vestale del focolare. E ogni mattina, dopo avere dormito nel camino ancora tiepido come in un letto di rigenerazione, mentre ravviva la fiamma rinasce con essa, in attesa che la magia di una trasformazione alchemica sublimi la cenere in cristallo, consentendo la metamorfosi.

Perché la cenere è materia fatata, è residuo del mistero della combustione. Così come è magico il carbone, e ancor più quello della notte di Natale o dell’Epifania, che ha poteri taumaturgici e può rendere fertile e vitale la terra inaridita dal gelo. La Befana lo sa bene quando ne nasconde un po’ nella calza dei bambini insieme agli altri doni. Lei che è minacciosa e benevola, mite e spaventosa, ma con i bambini ci parla. È per loro che torna a ogni solstizio la vecchia saggia tribale, loro che sono il futuro del clan, e che sotto la coltre della realtà ancora riescono a scorgere l’invisibile e comprendono la lingua antica che la babele del mondo adulto ha dimenticato.

Nei falò della notte dell’Epifania, il rito domestico del focolare si fa collettivo. E allora sulla catasta si lega un fantoccio della Befana, per cogliere in lei un riverbero dell’antica Hestia dalle fattezze ignee; ardendo sulla pira “la vecchia” sprigiona mille scintille, una divinazione per chi sa interpretarne i presagi per trarre auspici. Al termine di quella combustione l’antenata si dilegua in volo, portando con sé le entità malefiche, richiudendo su di sé lo squarcio fantastico delle dodici notti magiche. Ma forse, finché accanto a un camino una nonna leggerà una fiaba a un bambino, quel mondo non sarà inghiottito del tutto dall’oblio della modernità.

I riti dell’Epifania

La notte dell’Epifania è dedicata ai presagi d’amore. 

In Friuli ancora oggi si celebra un rituale di origine celtica: il lancio dei “cidulis”: i giovani si recano in un luogo all’aperto e, a turno, scagliano verso il cielo un disco di legno infuocato (quasi a voler simboleggiare una stella cadente), gridando il nome della ragazza/o amata/o. Se il disco si spegne prima di toccare terra, il rapporto sarà difficile e costellato di litigi e tradimenti; se, invece, avrà una armonica traiettoria e giungerà a terra ancora infuocato, il rapporto sarà felice.

Sempre in Friuli, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, si compie un tradizionale rito con la fiamma: si accendono grandi falò e, dalla direzione del fumo, si traggono gli auspici per l’amore: a destra, felicità e fortuna, a sinistra, ostacoli e difficoltà.

Per sapere se si incontrerà o meno l’amore, in questa notte, salire su una scala e gettare verso il basso una pantofola. Se, cadendo, la punta sarà rivolta verso a porta, l’incontro tanto atteso è ormai prossimo; in caso contrario, bisognerà aspettare ancora un anno.

PICCOLO INCANTESIMO PER IL GIORNO DELLA MANIFESTAZIONE

In questo giorno si muovono forze potenti e propiziatorie e quindi si possono fare incantesimi e psicomagie legate all’accrescimento e allo sblocco di situazioni ferme . Si possono inoltre trovare strade positive che possono migliorare le situazioni legate agli affetti, alla stabilità interiore e alle finanze.

Procedimento: mettere delle foglie secche ad ardere in un piccolo braciere o contenitore di rame.
Attenzione!!! Il fuoco deve essere sempre acceso in sicurezza, mi raccomando, lontano da tendaggi, tessuti, legni facilmente infiammabili, ecc. Consiglio di accenderlo all’aperto e con a portata di mano un secchio d’acqua  per ogni evenienza.
In questo fuoco bruciate anche un pezzetto di mirra che profumerà la stanza o l’aria.
Poi, su un pezzetto di carta bianca scrivete ciò che desiderate cancellare dalla vostra vita e che non volete portare con voi nel nuovo anno come pesante retaggio del vecchio.
Scrivete anche, su un altro foglio il desiderio che volete si realizzi entro i 12 mesi del nuovo anno.

Prima di bruciare la carta leggete ad alta voce per tre volte quanto avete scritto, battete il piede destro a terra per 3 volte e poi lasciate che tutto si consumi dal fuoco all’interno del recipiente di rame.
Disperdete poi le ceneri dell’incantesimo, una volta spente e fredde, attorno a casa vostra, in giardino, sul balcone e pochi pizzichi anche in casa vostra dentro dei vasi di fiori a contatto con la terra.

Nel piccolo recipiente di rame che avete usato per il rito mettete invece del sale grosso marino, chiodi di garofano e cumino e mettetelo in casa su uno scaffale o una mensola lontano da occhi e mani indiscrete.

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Barbara

Laureata all'Accademia di Belle Arti, Artista, Arteterapeuta, Advanced Counselor cognitiva, olistica e simbolico-archetipica, Professional Mentor, Educatrice Mindfulness e in Mindful Art, Facilitatrice Metafiabe e Psicofiaba, Trainer Percorsi Crescita Personale, Custode di storie.

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