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Il gioco dello scarabocchio di Winnicott e sue varianti

“Tutto è pieno di segni, e sapiente è colui che da una cosa ne conosce un’altra”
Plotino


La tecnica dello scarabocchio o “Squiggle Game” di Winnicott è molto semplice. Non è mai stata considerata da lui una “tecnica”, ma solo un modo per entrare in contatto con un piccolo paziente.

Per Winnicott la psicoterapia stessa è qualcosa che ha a che fare con due persone che giocano insieme, e il gioco dello scarabocchio serve, appunto, a creare uno spazio in cui possa esprimersi il potenziale ludico della mente infantile.
Quando ciò avviene, il bambino si apre interamente e crea col terapeuta una relazione piena e fiduciosa che è molto raro poter raggiungere con altri mezzi, sopratutto in un primo contatto.

Come fare ce lo suggerisce lui stesso in “Gioco e Realtà”.

Dopo l’arrivo del paziente, e dopo che si è chiesto al genitore che lo accompagna di accomodarsi in una sala d’aspetto il consulente dice al bambino:
facciamo un gioco… Io lo so cosa vorrei giocare e adesso te lo faccio vedere“.

Fra il consulente il bambino c’è un tavolo con della carta e due matite.

Per prima cosa prende dei fogli di carta e li divide a metà, per dare l’impressione è quello che faranno non è poi così terribilmente importante.

Poi il consulente comincia a spiegare:
“il gioco che vorrei fare non ha nessuna regola. Prendo la matita e faccio così…e tu mi fai vedere se ti sembra che assomigli a qualcosa o se lo puoi far diventare qualcosa, puoi farlo diventare ciò che vuoi … poi ne fai uno tu e io vedrò se posso fare qualcosa con il tuo“.

Questo è tutto quello che concerne la tecnica. 

In un’ora vengono fatti circa 20 o 30 disegni; a mano a mano il loro significato diventa sempre più profondo, e ciò viene avvertito dal bambino come parte di una comunicazione significativa.

Nel gioco dello scarabocchio di Winnicott si assiste a una sorta di gioco alternato: inizia il terapeuta facendo di getto uno scarabocchio sul foglio e poi invita il bambino a farlo diventare qualcosa, a trovarci una forma; e poi lui fa uno scarabocchio per lui, a sua volta lui lo fa diventare qualcosa.

Lo scarabocchio diventa così la comunicazione principale della seduta. Il terapeuta deve essere preparato a permettere al paziente di ampliare l’idea che esso esprime.

Quello che viene fuori permette al paziente (per esempio adolescente) un’auto scoperta.

Lo scarabocchio può facilitare quindi la comunicazione tra terapeuta e paziente.

In “Esplorazioni analitiche” Winnicott ci offre altri esempi dello “Squiggle Game”, ma sopratutto mette in evidenza l’importanza di un Setting professionale ideoneo, sopratutto per chi si appresta ad aiutare un bambino, che deve sentirsi libero di esplorare sè stesso.

Il vantaggio del lavoro che propone Winnicott è grande, perché il consulente può mettersi in condizione di apertura verso il paziente, nel senso di essere aperto ad imparare dal paziente, piuttosto che essere ansioso di dare interpretazioni di vario tipo.

Il gioco dello scarabocchio è stato pensato da Winnicott come invito a giocare, svincolato da regole precise perché:

«è nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé».

Lo scarabocchio si rivela quindi uno strumento per avviare una comunicazione profonda “passando dall’associazione libera della parola a quella del disegno”.
Ma anche di favorire e ampliare uno “spazio transizionale” adatto alle caratteristiche e alle risorse del bambino nel quale il terapeuta si pone come osservatore e al tempo stesso come un compagno di gioco in grado di fornirgli “la speranza di essere capito e aiutato”.
Vero è che Winnicott aveva un talento eccezionale come psicoterapeuta infantile, fattore che gli permetteva di indurre cambiamenti, e in molti casi, portare una risoluzione in un solo incontro di consultazione.

Generalmente si pensa che il gioco dello scarabocchio serva ad arrivare al nucleo inconscio problematico del paziente (Winnicott), piccolo o grande che sia; ciò corrisponde al vero, ma non è tutta la realtà. 

Il gioco dello scarabocchio è un metodo utile a favorire l’instaurarsi della relazione tra terapeuta e paziente, permettendo in questo modo al paziente di fare esperienza di holding e di esplorare liberamente le possibilità offerte alla comunicazione (quindi permette anche di superare eventuali situazioni di impasse che rendono difficoltosa la comunicazione terapeuta-paziente.

Il trovarsi in una situazione che favorisce lo scambio reciproco, in cui il paziente è soggetto attivo permette allo stesso l’accesso a quella creatività che permette la messa in scena (la raffigurazione) dei conflitti inconsci. 

I disegni che il paziente realizza a partire dagli scarabocchi del terapeuta nascono dunque da una doppia fonte: dalla particolare relazione che si è instaurata con il terapeuta e dai conflitti inconsci che derivano da tutta la sua storia personale. 

Varianti e adattamenti 

Tra le varianti cui lo Squiggle Game è andato incontro in questi ultimi anni vanno menzionate in particolare quelle di Paola Chieffi e di Giuseppe Pellizzari; la prima interessa il lavoro con i bambini, il secondo quello con gli adolescenti.

La Chieffi (2011) ha adattato la tecnica di Winnicott al contesto della “Consultazione partecipata” di Dina Vallino.

Qui il gioco dello scarabocchio viene impiegato nelle situazioni di impasse, per riattivare col bambino una comunicazione bloccata, rendendo partecipi anche i genitori. 

In un primo momento la Chieffi propone al bambino di giocare insieme e gli spiega le regole, traccia delle righe sul foglio in modo da dividerlo in sei parti, ognuna destinata a uno scarabocchio, e inizia il gioco tracciando un segno a occhi chiusi.
Ai genitori viene richiesto di partecipare al gioco del bambino. In tal modo la terapeuta può rendersi conto di come funziona (o non funziona) la relazione, e potrà discuterne con loro nel momento ritenuto più adatto. 

Giuseppe Pellizzari, con gli adolescenti, fa della carta uno “spazio di lavoro… che si anima e prende forma”, incontro dopo incontro, foglio dopo foglio, aiutando i ragazzi ad uscire dalla passività “creando un cantiere, un laboratorio un po’ caotico dove c’è però un contenimento”.

Egli utilizza quella che del gioco dello scarabocchio può essere considerata una variante, per dare un ritmo allo scambio terapeuta-paziente, a permettere il gioco. 

Si prepara sulla scrivania un foglio grande di carta con matite e penne messe sopra, nel primo incontro si dice al ragazzo, magari iniziando già a scarabocchiare qualcosa sul foglio: “Guarda che qui possiamo parlare, possiamo anche disegnare… Se vuoi puoi scarabocchiare anche tu…”. 

Il terapeuta si mette a disegnare-scarabocchiare sul foglio mentre parla col paziente. Essendo intento a fare anche qualcos’altro, mentre parla con lui, evita “l’intrusione” di guardarlo in faccia.

Sono le fonti inconsce che alimentano l’aspetto drammatico e dinamico nel gioco dello scarabocchio (Günter, 2003); ma può anche essere il gioco stesso ad attivare e a far emergere, spesso come brevissimi lampi, le immagini interne inconsce (Schacht, 2001).

Gli scarabocchi non sono l’unico gioco che favorisce l’esperienza di reciprocità.
I fogli di carta e le matite a disposizione della coppia terapeutica, in quanto materia cedevole che si sottomette a quanto gli viene fatto senza imporre le proprie esigenze (Milner, 1952), ovvero una materia alla quale è possibile far prendere la forma della propria fantasia, sono un mezzo espressivo che la creatività dei soggetti in gioco dota di potenzialità infinite, un mezzo espressivo che non essendo vincolato alla sintassi e alla grammatica proprie dalla lingua è più spontaneo del linguaggio parlato. In tal modo entra in gioco l’Arteterapia.

Quanto tracciato sul foglio (scarabocchio, disegno, parole-chiave, ecc.) si situa a metà strada tra chi disegna e chi osserva, in quella che Winnicott ha definito area transizionale; ne deriva che esso e il suo potenziale significato (l’esperienza comunicata tramite il medium grafico) non possono essere dati per scontati.

I “giochi della reciprocità” ampliano l’uso dell’originale tecnica winnicottiana, sono potenzialmente infiniti se entrambi i soggetti coinvolti sono disponibili (con autentico piacere) al gioco condiviso, nel quale trova spazio anche l’“essere soli in presenza dell’altro” (Winnicott, 1957), e al profondo coinvolgimento in esso. 

È l’uso della creatività soggettiva che facilita o addirittura rende possibile la comunicazione. 

Lo scarabocchio di Winnicott è stato anche una fonte d’ispirazione per gli arteterapeuti di tutto il mondo, che ne elaborano di continuo nuove versioni: con gli occhi chiusi, con la mano non dominante, due persone insieme sullo stesso foglio, oppure una persona dopo l’altra, combinando lo scarabocchio con parole; libere associazioni, storie, favole, ecc.

È stato utilizzato solo con la matita, con i pastelli, e anche lasciando scorrere una macchia di colore acquoso su un foglio bagnato tenuto in verticale e poi delicatamente girato in varie direzioni. In tal modo continua a restare uno stimolo evocativo simile allo scarabocchio ma con una diversa qualità dinamica.

Lo “scarabocchio” nasce come tecnica con l’uso che ne fa una delle pioniere dell’ArteTerapia Margareth Naumburg, psicologa, educatrice, artista, autrice e tra i primi maggiori teorici della terapia artistica.
Si serviva del disegno libero per avere un accesso più facile all’inconscio, invitando poi i pazienti a fare delle libere associazioni su ciò che vedevano nei loro lavori.  Il suo “metodo dello scarabocchio” tuttavia era, in questo modo,  essenzialmente un trampolino di lancio verso la terapia verbale, senza una particolare attenzione ai materiali e al processo artistico.

Paola Luzzato dice che lo stato mentale del paziente durante la libera associazione può essere di due tipi: di tipo fluttuante o di tipo focalizzato.

L’attenzione fluttuante porta ad associazioni che sembrano senza significato, tende a depotenziare i processi consci a favore di quelli preconsci o inconsci e questo conduce ad un senso di libertà dei giudizi e dalle aspettative di tutti i giorni.

L’attenzione focalizzata si concentra su una parola o su un’immagine specifica, per farne emergere altre, alla ricerca di senso e di significato.

Per illustrare questi due tipi di attenzione ella prende a prestito lo scarabocchio.


questo articolo è stato tratto da: “Lo Scarabocchio: filo magico che ci unisce al nostro inconscio” di Barbara Boretti)

altri articoli sullo scarabocchio:
Lo scarabocchio

Lo Squiggle Game
Lo scarabocchio: filo magico che ci unisce al nostro inconscio


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Barbara

Laureata all'Accademia di Belle Arti, Artista, Arteterapeuta, Advanced Counselor cognitiva, olistica e simbolico-archetipica, Professional Mentor, Educatrice Mindfulness e in Mindful Art, Facilitatrice Metafiabe e Psicofiaba, Trainer Percorsi Crescita Personale, Custode di storie.

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