Arte e Creatività

Lo Scarabocchio

L’arte del disegno è fondamentalmente ancora la stessa fin dai tempi preistorici. Essa unisce l’uomo e il mondo. Vive attraverso la magia.

(Keith Haring)

Che cos’è lo scarabocchio: dalle origini ai giorni nostri

In etimologia Scarabòcchio deriva dal gr. SKARABOS dal lat. SCARABEUS scarabeo.
Solo questa indicazione basta ad indicarci la sua preziosità.
Non approfondisco in tale sede la simbologia di questo animale sacro, che nasce nell’antico Egitto e poi si diffonde in tutto il Mediterraneo, fino al popolo Etrusco, accennando solo uno dei suoi significati: resurrezione.

Dal dizionario: Macchia d’inchiostro fatta scrivendo, che pare uno scarabeo sulla carta.

La parola scarabocchio viene usata anche per: per lettera o parola scritta male o i illeggibile, per svolazzo o paraffo o ghirigoro o frego, per disegno informe o mal riuscito, per segnaccio, per scherzo della natura.
A volte viene usato impropriamente per indicare uno schizzo o un abbozzo.

Come un Puck dispettoso si muove ed emerge dal nostro bosco inconscio e si diverte a mettere un apparente scompiglio.

Le sue origini

Lo scarabocchio è un gesto universale che appare simile in tutte le culture, presso ogni etnia e a tutte le latitudini.

Possiamo ricondurre le sue origini ai primi segni lasciati nelle caverne dagli uomini primitivi.

Il linguaggio figurativo compare circa 35-40 mila anni fa presso comunità di popoli cacciatori e raccoglitori all’interno di gruppi europei di Homo sapiens.

La popolazione paleolitica si basava su una economia di caccia e raccolta, quindi l’interesse primario era di favorire le attività che portassero alla conservazione della specie. Sulle superfici di caverne e grotte troviamo rappresentati svariati animali nelle loro molteplici fasi vitali. L’arte del Paleolitico è quindi naturalistica, tende cioè a presentarsi come ben identificabile e riconoscibile proprio per il ruolo socio-economico che svolgeva all’interno del gruppo di cacciatori-raccoglitori.

Arnold Hauser, storico dell’arte ungherese, individua nelle pitture e nell’arte preistorica una componente magica.

Le rappresentazioni erano un tutt’uno con la pratica magica, poiché servivano a “catturare” la preda, erano rappresentazione e cosa rappresentata. Non si trattava però di simbologie, ma di vere azioni dirette ad uno scopo, atti reali che ottenevano effetti reali. Un pò come le attuali psicomagie di Alejandro Jodorowsky
Il geometrismo neolitico si presenta invece come una sorta di naturalismo trascurato, astratto, rigido e stilizzato. Non rappresenta la realtà, bensì l’idea, il concetto, il simbolo, in cui la componente figurativa è senza valore o quasi.

Il piacere dell’uomo di lasciare tracce e segni di sé e del proprio passaggio è un desiderio che è rimasto intatto nel tempo. Un piacere che è dapprima di tipo sensoriale e motorio.

Dalla pittura rupestre alla psicoanalisi all’arteterapia

Noi possiamo continuare a vedere il protrarsi ed l’evolversi di queste raffigurazioni nell’arte e nel bisogno creativo di esprimersi, innato in ognuno di noi.

Questo gesto-azione ha incontrato poi la psicoanalisi e successivamente l’arteterapia, come a chiudere un cerchio per ritornare al suo significato e scopo primitivo.
La raffigurazione-traccia-segno-arte si è intersecata alla psicoanalisi quando in quest’ultima è emerso l’interesse per i sogni.

L’interesse per il fenomeno-sogno ha radici antiche, risalenti agli albori della civiltà. Con il passare dei secoli questo interesse è aumentato esponenzialmente e ha portato ad un accumulo di “saperi”  ricchi di vari punti di vista e con accenti diversi a seconda delle epoche storiche e dei differenti studiosi che se ne sono occupati. Si sono così avute concezioni del sogno scientifiche, filosofico-metafisiche, religiose, ingenue, superstiziose, ciascuna articolata a partire da teorie spesso profondamente differenti tra loro.

Un periodo decisivo per lo sviluppo delle conoscenze sul sogno fu quello tra il 1860 e il 1899, in cui le ricerche condotte su questo argomento portarono a scoprire quasi tutti quei concetti che si ritroveranno nell’opera di Sigmund Freud “L’interpretazione dei sogni” (1899), opera alla quale è possibile far risalire, convenzionalmente, la nascita della psicoanalisi.
Per Freud i sogni sono manifestazioni del processo primario, e attraverso essi è possibile esplorare l’inconscio. Più precisamente, a partire dal contenuto onirico manifesto, grazie alle libere associazioni del paziente, è possibile giungere al significato latente.
Freud si rese anche conto che esistevano elementi (uguali per tutte le persone) sui quali i pazienti non riuscivano ad associare; giunse a ritenere tali elementi dei simboli, risultato di un processo primario che, tramite lo spostamento, riesce a superare la censura onirica e a scaricare la tensione psichica. A fronte di una moltitudine di simboli, alcuni dei quali universali, individuò una quantità limitata di elementi simbolizzati: sensazioni, parti del corpo e oggetti primari. 

Per Carl Gustav Jung i sogni furono un elemento fondamentale per la sua autoanalisi nel periodo che va dal 1913 al 1919.
La sua “tecnica” consisteva nel liberare e lasciare emergere nella coscienze le sue fantasie inconsce. Per raggiungere questo scopo Jung ricorreva a due tecniche di immaginazione attiva: una consisteva nel raccontarsi una storia e nello scrivere tutto quanto gli veniva in mente al riguardo; l’altra prevedeva lo scrivere e il disegnare ogni sogno del quale aveva memoria al risveglio.
Per Jung i disegni erano utili metodi per rappresentare graficamente le immagini simboliche non verbali. 

Queste  tecniche furono adottate da Jung anche nel lavoro con i suoi pazienti. Infatti egli li incoraggiava ad esprimersi mediante il pennello, la matita o la penna.
Lo scopo di questo lavoro era lo stesso che per i sogni, si trattava di produrre uno stimolo.

Secondo Jung l’attività creatrice dell’immaginazione strappava l’uomo ai vincoli che lo imprigionavano e lo elevavano allo stato di colui che gioca.
Ciò a cui egli mirava era di produrre uno stato psichico nel quale il paziente cominciasse a sperimentare con la sua natura uno stato di fluidità, mutamento e divenire, in cui nulla era eternamente fissato e pietrificato o senza speranza.

Verso la fine degli anni 1920 Melanie Klein fu tra le prime a trattare con la psicoanalisi i bambini. Ella iniziò a considerare il gioco e il disegno come simbolizzazioni dell’esperienza propria del bambino: la capacità di svolgere tali attività e la loro qualità erano viste in stretta connessione con lo stato di salute mentale.
Il disegno divenne per la Klein l’equivalente del sogno dell’adulto, ovvero una manifestazione del mondo interno del soggetto, e come tale veniva sottoposto a un’interpretazione simbolica.

Salvador Dalì – Enigma senza fine – olio su tela – 1938 – Madrid, centro d’arte Regina Sofia
Un pò di surrealismo

Un altro significativo contributo al fenomeno-sogno è dato dal Surrealismo, il cui fine, creativo e sociale, era la liberazione dell’uomo da una prospettiva positivistica, razionale e borghese per accogliere una più vasta realtà.

Il primo a parlare di surrealismo fu Guillaume Apollinaire e lo fece dando al termine il senso di super-fantastico, a qualifica del suo dramma Les mamelles de Tirésias (1916), inclusivo della dimensione inconscia.
La sur-realtà risiedeva nell’attribuzione al lavoro onirico degli stessi valori di presenza, solidità e perentorietà tipicamente attribuiti alla realtà esterna.
Per René Magritte (1938) “Il Surrealismo rivendica per la vita della veglia una libertà simile a quella del sogno»
La definizione del movimento surrealista è poi data nel “Manifesto del surrealismo” di Breton, del 1924, dove leggiamo: 

«Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale, (…) il surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d’associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita»

Qualche anno più tardi, nel 1938, Marion Milner, artista e psicoanalista, che conosceva il movimento surrealista (sappiamo che nella fine degli anni ’30 visitò la mostra pittorica di due surrealisti britannici che ampio facevano uso del disegno automatico: Reuben Mednikoff e Grace Pailthorpe), e che rimase sconcertata nello scoprire, quasi per caso, che talvolta è possibile eseguire schizzi o disegni lasciando liberi occhio e mano di fare esattamente ciò che vogliono, senza cioè l’intenzione cosciente di raggiungere un risultato prestabilito, di disegnare “qualcosa”
La Milner iniziò a guardare i disegni in maniera simile a come Freud si era avvicinato ai sogni e si accorse che con il metodo da lei definito “libero” potevano affiorare, attraverso i tratti lasciati dalla matita sul foglio, umori e idee che a livello della coscienza sembravano totalmente assenti: i disegni liberi erano dunque intrisi della struttura degli affetti e dei pensieri (consci e inconsci) di chi li produceva.
Questo concetto si ricollegava ed era in accordo con quello che Herbert Silberer (1909) aveva descritto come “fenomeno funzionale”, ovvero quel fenomeno per cui nelle immagini oniriche viene rappresentato lo stato effettivo del sognatore, non il contenuto del pensiero.

Dalle numerose esperienze creative fatte in quegli anni, dall’analisi del contenuto dei disegni e dall’autoanalisi dei propri processi mentali che accompagnavano tali esperienze creative nacque il libro della Milner “Non poter dipingere” (1950).

Ella incoraggiava l’utilizzo di questo tipo di disegni come mezzo di espressione e comunicazione di quei sentimenti per i quali i pazienti non avevano parole, e anche nella psicoanalisi dei bambini.

Un altro importante contributo fu quello di Michael Fordham, uno psicologo analista, amico di Jung, che negli anni 1940, influenzato dalle ipotesi della Klein sulle fantasie primarie inconsce, formulò una concezione originale dei processi di maturazione dell’Io a partire dalla matrice archetipica del Sé originario.
Fordham è stato l’autore che in ambito junghiano ha dato i maggiori contributi alla tecnica del disegno nell’analisi dei bambini. Nel 1944 uscì il suo libro “La vita dell’infanzia”, nel quale, partendo dalle idee di Jung e dalla propria esperienza clinica sosteneva che sogni e disegni sono mezzi di comunicazione e riflessi del mondo interno del bambino, motivo per cui forniscono al terapeuta informazioni sulla psicopatologia del bambino e sul suo ambiente primario.
Sappiamo che Fordham, talvolta, richiedeva al paziente bambino d’illustrare gli eventuali sogni che portava in seduta, utilizzando la loro raffigurazione su carta come avvio del lavoro terapeutico. 

A questo punto è interessante segnalare che verso la fine degli anni 1920 la
Milner fece l’esperienza di un’analisi junghiana (sembra con Gail Pailthorne) ed ebbe la Klein come supervisore. Inoltre visse con Winnicott un rapporto assai stretto e multiforme. Infatti egli fu, oltre che suo amico, suo supervisore ed analista.
Anche Winnicott ebbe la Klein come supervisore, e fu amico di Fordham

Da tutto ciò possiamo dedurre che i contributi più salienti che condussero allo “squiggle game” di Winnicott fossero in relazione alla Milner. Infatti sono proprio i suoi disegni liberi a rappresentare l’anello di congiunzione tra “L’interpretazione dei sogni” di Freud e lo “Squiggle Game” di Winnicott. 

questo articolo è stato tratto da: “Lo Scarabocchio: filo magico che ci unisce al nostro inconscio” di Barbara Boretti)

altri articoli sullo scarabocchio:

Il gioco dello scarabocchio e sue varianti

Lo Squiggle Game
Lo scarabocchio: filo magico che ci unisce al nostro inconscio

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Barbara

Laureata all'Accademia di Belle Arti, Artista, Arteterapeuta, Advanced Counselor cognitiva, olistica e simbolico-archetipica, Professional Mentor, Educatrice Mindfulness e in Mindful Art, Facilitatrice Metafiabe e Psicofiaba, Trainer Percorsi Crescita Personale, Custode di storie.

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