I Fuochi di San Giovanni
Il fascino della festa patronale dedicata a S. Giovanni risiede ancora oggi nei fuochi che si accendevano (e da qualche parte tuttora si accendono), facendo ardere mucchietti di resina, per andare poi a osservarli da lontano, la sera.
I rituali intorno al fuoco erano connessi alla fertilità del raccolto, alla salute, alla buona sorte, a proteggere dai fulmini.
I falò accesi nei campi la notte di S. Giovanni erano considerati, oltre che propiziatori, anche purificatori. L’usanza di accenderli si riscontra in moltissimi luoghi, in Europa e in alcuni luoghi del Nord Africa.
Nelle campagne i fuochi propiziatori tenevano lontani i demoni e proteggevano le coltivazioni.
I contadini si posizionavano principalmente su dei dossi o in cima a delle colline, e accendevano grandi falò in onore del sole, per propiziarsene la benevolenza e rallentarne idealmente la discesa, oltre a tenere lontani i demoni e proteggere le coltivazioni.
Spesso con le fiamme di questi falò venivano incendiate delle ruote di fascine, che venivano fatte precipitare lungo i pendii, accompagnate da grida e canti. I falò avevano però anche una funzione purificatrice e per questo motivo vi si gettavano dentro cose vecchie o marce, affinché il fumo che ne scaturiva tenesse lontani gli spiriti maligni e le streghe.
In alcuni luoghi si bruciava, come per l’Epifania, un pupazzo, così da bruciare in effige la malasorte e le avversità.
Un’altra usanza era quella di far passare il bestiame fra il fumo del falò, in modo da togliere le malattie e proteggerlo sia da queste sia da chiunque vi potesse gettare fatture e malie.
I fuochi venivano tenuti accesi tutta la notte. All’alba i falò si spegnevano, toccava al fuoco più importante ergersi in cielo: il sole.
La ragazza che, guardando il sole all’alba, vi vedeva la testa decapitata di San Giovanni, si sarebbe sposata entro l’anno. San Giovanni infatti morì decapitato, per ordine di Erode.
Giovanni Battista rimproverava a Erode la convivenza con la cognata Erodiade. La donna voleva la morte del predicatore, ma Erode si opponeva. Tuttavia Erode fu costretto a ordinare infine la condanna, per colpa di Salomè, figlia di Erodiade. Salomè infatti un giorno si esibì in una danza che deliziò Erode a tal punto che egli le promise come ricompensa di soddisfare un suo qualsiasi desiderio. La ragazza, istigata dalla madre, chiese la testa di Giovanni Battista su un piatto d’argento. Erode fu costretto ad acconsentire, per non venir meno alla promessa.
Collegato a questa storia c’è anche una credenza in Sardegna, dove si riteneva che il sole all’alba saltellasse tre volte prima di innalzarsi, allo stesso modo in cui la testa di San Giovanni rimbalzò tre volte alla sua decapitazione.
Sino ad un po’ di tempo fa era d’uso in Veneto allestire dei fuochi negli incroci.
A Verona si svolgevano balli e banchetti attorno a una fontana di ferro, nella “Valle di San Giovanni” (attuale quartiere chiamato “Veronetta”). Nei pressi, una pieve longobarda, alto-medievale, dedicata a San Giovanni. Pochi chilometri a nord-est, vicino a Montorio, un antico monolite di origini pagane (in seguito “cristianizzato” con l’aggiunta di una croce di ferro), pare sia misteriosamente allineato alla pieve. Il nome stesso di Montorio potrebbe derivare da “mons” e “orior”, monte da cui nasce il sole.
Fino a qualche decennio fa, i fuochi di San Giovanni venivano accesi in tutta la Valle Camonica, soprattutto dai paesi collocati più in alto, in modo che potessero essere ben visibili da lontano.
Questi falò continuano la tradizione di antichi riti pagani legati al solstizio d’estate: sono praticati dall’Irlanda alla Russia, dalla Svezia alla Grecia e alla Spagna. Documenti del XVI secolo testimoniano tale consuetudine in quasi tutti i paesi della Germania
Anche in altre parti d’Italia, attorno ai fuochi, si danzava e cantava, e si credeva che in questa notte magica avvenissero prodigi.
Era di buon augurio saltare sul fuoco pensando intensamente ai desideri che si volevano realizzati.
Tradizioni da un Paese ad un altro
In Spagna, a Pamplona, si usa tutt’ora raccogliere erbe aromatiche da bruciare negli incroci per scongiurare tempeste e fulmini.
Anche i Berberi, che vivono nel Nord dell’Africa, hanno dei festeggiamenti in concomitanza del 24 giugno e per questi accendono dei fuochi che facciano un fumo denso per propiziare il raccolto dei campi e per guarire (col fumo) chi vi passa in mezzo.
In una località della Germania c’è un’usanza a cui partecipa tutta la popolazione dei dintorni: una grossa ruota infuocata viene fatta rotolare fino a valle, dove passa il fiume: se la ruota arriva accesa nell’acqua il segno è favorevole, in caso contrario è invece di cattivo auspicio.
In Austria, nel Salzkammergut e nella zona di Bad Goisern vicino ad Hallstatt (culla dei Celti della prima Età del Ferro) si usa ancor oggi accendere grandi falò sui fianchi delle montagne la sera del 23 giugno; celebrazione analoga è lo Highlight, un immane falò solstiziale che viene acceso a Schwarzenbach durante il Keltenfest, la festa dei Celti.
Nell’antica Gallia, durante i giorni solstiziali si accendevano i fuochi sui monti dedicandoli al dio Belen.
Il culto solare
Per alcuni la festa di S. Giovanni sarebbe la trasformazione di un antico culto solare (un riferimento preciso è reperibile nella festa romana del 24 giugno indicata come “solstitium” o “campas”), che rivela quindi radici profonde nella tradizione rituale precristiana.
È di fondamentale importanza non dimenticare il forte legame simbolico che l’antica società agraria aveva con il culto del Sole.
Un esempio del culto solare in ambito agricolo è rappresentato dal tradizionale gioco delle “ruzzole” praticato nell’Appennino modenese (ma presente anche in altre aree, con delle piccole varianti).
Questa tradizione, che qualcuno vuole celtica e qualcun altro pre-celtica, ha trovato la sua massima espressione nel lancio di grandi ruote di legno accese e non di rado inghirlandate.
Ne “Il Ramo d’Oro” di Frazer si legge:
…si riferisce al ciclo discendente del sole, avente inizio nella data rituale in questione e risponde all’intento di sfondare ritualmente il nuovo anno astronomico dando, in senso magico, il via a un favorevole corso del sole, identificato nella ruota
Il lancio delle ruote infuocate è ancora vivo con le “cìdulis” delle Alpi orientali del Friuli; normalmente, prima di lanciare la sua “cìdule”, il lanciatore grida “vòdi cheste cìdule onor di…” (dedico questa ruota di fuoco in onore a…) e accompagna l’esclamazione con il nome del santo festeggiato (il rituale, rifiorito in tempi recenti, si può ripetere anche in occasione dell‘Epifania e di vari santi patroni locali).
Queste ruote avvolte di paglia e incendiate, di cui si trova esempio anche in altre aree europee e spesso collegate al falò rituale, sono state interpretate come tentativi di ricostruzione simbolica del ciclo solare.
Alle prime luci del 24 giugno i contadini che possedevano alberi di noce dovevano andare a legare una corda di spighe di orzo e di avena intrecciate ai tronchi dei loro alberi. In questo modo avrebbero poi raccolto frutti buoni e abbondanti.
Raccogliere 24 spighe di grano e conservarle gelosamente tutto l’anno serviva come amuleto contro le sventure. Fare invece un mazzolino con tre spighe di grano marcio o carbone e buttarlo nel fiume liberava dagli animali e dalle piante nocive il grano che si stava per mietere.
Nonostante la demonizzazione secolare dei culti agresti (ancora oggi si mormora che nella notte di S. Giovanni le streghe celebrerebbero i propri rituali), alcuni aspetti tipici di questa festa pagana non si sono spenti e hanno mantenuto una propria vitalità, conservando alcune caratteristiche: oltre ai fuochi, le sfilate, le danze, i giochi, il coinvolgimento collettivo in genere e soprattutto intorno al gran falò finale.
Un’altra pratica legata a S. Giovanni è la danza intorno alle grandi pietre megalitiche, considerate cariche di poteri magici.
Da sempre, con il fuoco si mettono in fuga le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Le persone erano solite saltare il fuoco per avere fortuna, intorno ai fuochi si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi: le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell’aria scura promesse d’amore e di fortuna….
Litha è il momento di ricelebrare la fiammata della vita anche attraverso la danza.
La danza è uno dei più antichi modi di celebrare e di fare rituali nel mondo: è un rito sacro che conosce gli arabeschi del tempo.
In genere, colui che danza, aduna gli spiriti per ottenere chiaroveggenza e conoscenza, comunica e riceve informazioni, onora gli antichi, cura e guida il viaggio mistico della sua anima nella danza della vita.
Vi erano danzatori e attori vestiti da unicorni e draghi.
Il Fiorino d’Oro
Ma oltre ai fuochi esistono parecchie tradizioni legate al solstizio tra cui un rito che serve a conoscere il futuro, perché come dice il detto “San Giovanni non vuole inganni“.
Il detto nasce dal fiorino d’oro coniato a Firenze nel 1252. L’effige del Santo compariva su una delle facce della moneta. Su questa valuta si basava la ricchezza e la reputazione della Repubblica fiorentina.
San Giovanni, raffigurato sulla moneta, si faceva garante della qualità della lega metallica che la componeva. Essa doveva sempre contenere 3,54 grammi d’oro. Nasceva così il detto “San Giovanni non vuole inganni”.
A Firenze, sui tetti delle basiliche, venivano messi dei grandi pentoloni di terracotta pieni di grasso. Il grasso produceva dei fuochi visibili anche a grandi distanze.
Secondo la leggenda il 24 è il giorno in cui le streghe si recano in volo verso il grande albero di noce di Benevento per il sabba. Questo è l’albero sul quale una divinità lunare avrebbe sconfitto il demonio, rimandandolo all’Inferno.
Da qui nascono numerosi riti propiziatori per evitare che, durante il loro lungo viaggio, le streghe sostino presso le case dei comuni mortali. Uno dei più efficaci consiste nel proteggersi col rosmarino, pianta che si credeva allontanasse le forze negative, e un ramoscello d’ulivo benedetto.
Sulla soglia di casa si mette poi del sale e una scopa di saggina. In questo modo le streghe che eventualmente passano sono costrette a contare i granelli di sale e i fili della scopa. Così sono impegnate finché non scatta la mezzanotte, e a quel punto devono fuggire.
La porta di casa era decorata con foglie di betulla, finocchietto selvatico, iperico e lillà bianche.
Si narra che il culto del noce come “albero delle streghe” sia di origine celtica.
Vi era anche la leggenda dei serpenti che si riunivano e si trasformavano in una grande palla sibilante e contorcente. Chiunque riuscisse a prenderla avrebbe avuto poteri magici.
A Roma, la notte di San Giovanni c’era un’usanza che si tenne fino alla fine dell’Ottocento.
Dopo l’Ave Maria (cioè mezz’ora dopo il tramonto) veniva sparato un colpo di cannone e si dava inizio alla festa. Qualcuno si metteva ad attendere il passaggio delle streghe, col mento appoggiato a un bastone e lo sguardo rivolto alla croce, scrutando il cielo. Ovviamente, complice magari qualche bicchiere di troppo, le streghe venivano avvistate, e a volte si vedevano i fantasmi delle più famigerate donne capitoline, come la papessa Giovanna, Lucrezia Borgia o donna Olimpia, patrona dei corrotti.
Le donne della Repubblica di Venezia si rivolgevano alla luna per chiederle il nome del futuro marito. Il primo nome udito pronunciare da qualcuno, in qualsiasi circostanza, sarebbe stato quello dello sposo.
Tornando ai riti per predire il futuro, essi si collegano all’era precristiana, quando il solstizio era considerato un giorno sacro come il capodanno. In questi giorni era consuetudine trarre presagi.
Altra usanza a metà tra il magico e il culinario è quella di raccogliere le noci ancora immature per preparare “l’incantesimo delle Noci“, ovvero il “nocino”; tipico della festa di San Giovanni, è un liquore corposo buono e che fornisce energia. La ricetta magica del nocino impone che se ne raccolgano 24, come il 24 giugno, e che siano raccolte da mani esclusivamente femminili. Quindi si mettono nell’alcool per qualche settimana (più si aspetta e più buono viene) insieme a qualche spezia, come la cannella e i chiodi di garofano. L’uso della scorza della noce nelle ricette medicinali e per i liquori risale a tempi antichi.
In Britannia si preparavano pozioni magiche utilizzando noci acerbe. Questa usanza sarebbe poi stata “importata” dalla Francia in Italia.
Abbiamo detto che la notte di San Giovanni le streghe si davano appuntamento e si riunivano intorno a un albero di noce. I contadini piantavano il noce a distanza dagli altri alberi, perché credevano che questo albero ermafrodita (dato che il seme contiene in sé i due sessi) fosse velenoso e che contagiasse anche il terreno con le sue radici. Da qui l’usanza di piantarlo a distanza dagli altri alberi dell’orto e forse da qui avviene il suo collegamento con le streghe.
In Portogallo si andava nei boschi a prendere a male parole le volpi là nascoste, affinché non tornassero più a rubare le galline.
In Spagna questa notte è chiamata la “Notte della Verbena “. Le giovani donne raccoglievano l’erba di san giovani nella speranza di divinare e scoprire il futuro amore.
In Bretagna, per esempio, c’era la stravagante usanza di far dondolare i bambini per nove volte davanti al fuoco, cosicché crescessero robusti.
Davanti alle fiamme, inoltre, si disponevano delle pietre per fare in modo che gli avi defunti si riscaldassero.
Tra i Lapponi si festeggiava Baiwe, madre del sole, intrecciando ghirlande di fiori o d’erba e si spalmava del burro sugli stipiti delle porte come segno della sua generosita’.
L’Acqua di San Giovanni
Si dice anche che la rugiada della mattina di S. Giovanni, ovviamente legata all’elemento acqua, ha il potere di curare, purificare e fecondare.
Nel Nord Europa, se una donna desiderava molti figli o voleva bei capelli e una buona salute, doveva rotolarsi o stendersi nuda, nell’erba bagnata.
In Italia c’era più l’abitudine di raccogliere la rugiada e poi usarla sul momento.
C’erano e ci sono vari sistemi per raccogliere la rugiada: scavando una piccola buca vi si inserisce un contenitore e sopra questo un telo impermeabile con un foro, in modo che la rugiada depositata sul telo poi può scendere nel contenitore oppure la notte si stende un panno sull’erba e la mattina lo si strizza, oppure si passeggia per i campi la mattina prestissimo trascinandoci dietro un lenzuolo o un batuffolo di cotone, che s’impregnerà di rugiada e poi lo si può strizzare per recuperare l’acqua.
Altri usi legati all’acqua erano: attingere la prima acqua del 24 giugno manteneva la vista buona; recarsi in riva al mare, per bagnarsi, all’alba, preservava dai dolori reumatici.
Una leggenda inoltre tramanda che vicino al famoso Noce di Benevento, ci fosse un laghetto o un torrente in cui le donne si bagnavano in questa notte per aumentare la propria fertilità.
Usanza tipica di questo giorno è inoltre mangiare le lumache.
Il significato del mangiare tale cibo è legato perlopiù alle corna delle lumache (che simboleggiano la luna e il suo ciclo di crescita/decrescita), per cui, ogni lumaca mangiata (e quindi ogni cornetto mangiato), si ritiene che un malanno sia scongiurato (e scongiurato anche un altro rischio: quello delle “corna” in casa)
Le Erbe di San Giovanni
In questa notte si bruciano le vecchie “erbe di S. Giovanni” nei falò e si vanno a raccoglierne di nuove: iperico, aglio, artemisia, verbena e ruta.
Le piante bagnate dalla rugiada della notte di San Giovanni vengono influenzate con particolare forza e potere e possiedono straordinarie capacità: si ritenevano in grado di scacciare ogni malattia e tutte le loro caratteristiche e proprietà sono esaltate alla massima potenza.
Si diceva, per esempio, che poste sotto la camicia o il cuscino facessero avere sogni premonitori. A mezzanotte poi si doveva cogliere un ramo di felce e tenerlo in casa per favorire i guadagni, o di verbena se si voleva avere un’infallibile protezione contro i fulmini.
La ruta, considerata già da Aristotele come protezione dagli spiriti e dagli incantesimi, era un efficace talismano contro il maligno, ed era detta “erba allegra.”
L’aglio, oltre che assicurare un anno prospero, era efficace come protezione dal male e dai malanni.
Anche Plinio lo cita come utile nel guarire molte malattie.
Il nome sanscrito dell’aglio vuol dire “uccisore di mostri”. Non per niente lo ritroviamo fondamentale anche nelle leggende sui vampiri.
Era d’uso portare all’occhiello una foglia di iperico, per proteggersi dalle streghe. L’iperico era considerato infatti una pianta scaccia diavoli e anti malocchio. In particolare i suoi petali rossi erano ritenuti tali in quanto impregnati del sangue di San Giovanni.
Una leggenda vuole che se si inciampa sulla sua radice nella notte di Litha, si viene magicamente trasportati nel regno delle fate.
Nel periodo in cui si svolgeva la festa anche le questioni d’amore potevano venir risolte, grazie alle erbe. C’erano piante per attirare la persona di cui si era innamorati, o per conoscere la verità sui suoi sentimenti. Altre piante erano in grado di svelare l’iniziale del futuro marito.
Era usanza per le ragazze gettare a terra un garofano; chi lo avesse calpestato all’alba avrebbe determinato la famiglia di appartenenza del futuro sposo.
C’erano poi erbe davvero miracolose, in grado di donare chiaroveggenza e addirittura invisibilità. In questo caso bisognava però superare una prova: chi avesse colto la pianta si sarebbe sentito chiamare con la voce di un proprio caro. Solo chi avesse resistito e non si fosse girato avrebbe acquisito l’invisibilità. La voce infatti era solo un trucco del Diavolo per non cedere il potere della pianta.
L’artemisia, in particolare l’assenzio, consacrata ad Artemide, è forse la pianta più celebre tra quelle dette “di San Giovanni”. Un suo rametto scaccia i diavoli, neutralizza il malocchio e, più banalmente, fornisce energia ai viandanti.
L’assenzio è un’erba magica intrisa del potere spirituale di San Giovanni e del potere del sole, del fuoco “positivo”.
Essa quindi è una protezione contro i fuochi “negativi” ed era usanza mettere un mazzo di questa erba dietro l’uscio di casa, per proteggere l’abitazione dai fulmini. Altra capacità dell’assenzio era quella di vincere la decadenza e la precarietà.
Una volta si metteva del succo di assenzio nell’inchiostro, e la carta scritta con quell’inchiostro diveniva sana e durava molto tempo, perché fortificata contro le tarme.
La salvia è invece legata a un’antica leggenda sul viaggio che compì Maria mentre era in fuga con la Sacra Famiglia.
Sentendo i soldati che stavano per raggiungerli, chiese a una rosa di proteggere il bambino Gesù, ma la rosa rifiutò, per paura che i soldati calpestassero i suoi petali.
La pianta fu per questo punita e condannata ad avere fiori belli, ma dalla durata effimera, e uno stelo spinoso.
Maria continuò a chiedere aiuto ad altre piante.
Prima la vite disse di no e per questo fu condannata a essere tagliata e privata dei frutti ogni anno, con la vendemmia.
Anche il cardo rifiutò e divenne una pianta piena di spine.
Quando la situazione si fece critica venne in aiuto la salvia, che accettò subito di proteggere il bambino, riuscendo anche ad addormentarlo grazie al suo profumo.
La pianta fu benedetta e divenne diffusa in tutti gli orti; una pianta benefica per guarire e buona per cucinare. La salvia che veniva raccolta nella notte di San Giovanni, in particolare, era un vero rimedio universale, da cui dipendeva il benessere di tutta la famiglia.
E per finire la verbena, simbolo di pace e prosperità.
In Bretagna è conosciuta come “erba della croce”, perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male.
È nota anche come “erba della doppia vista” perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste.
I greci la chiamavano “Hiera botane”, erba sacra.
A Roma la verbena veniva raccolta in un luogo sacro del Campidoglio e se ne faceva una corona per i sacerdoti membri dei “fetiales”; costoro erano incaricati di studiare i conflitti tra Roma e gli altri popoli.
In latino il nome risale a un’antica radice europea da cui deriva anche il greco “rhabdos”, che si collega a verga, bacchetta magica; basti pensare al rabdomante, appunto, che usa la bacchetta per trovare l’acqua.
Altra proprietà magica della verbena era il suo utilizzo nei filtri d’amore. La pianta era infatti anticamente consacrata a Venere, che veniva ritratta incoronata di verbena e mirto.
I bardi celtici se ne cingevano il capo per avere un’ispirazione dagli dei.
Era insomma una pianta dalle molte proprietà; anche nel Medioevo si usava, per proteggersi dal contagio delle epidemie.
Trascorrendo la notte nelle piazze e in campagna, presso fonti e fiumi, non solo si cantava e si danzava per tutta la notte, ma si prediceva la sorte e si raccoglievano erbe e foglie che venivano battezzate nelle acque da compari e comari, per essere poi devotamente appese in casa, appese alle pareti, per un intero anno.
Le erbe raccolte nella notte di S. Giovanni erano ritenute speciali, le più adatte per preparare pozioni magiche e medicamentose, potenti filtri, e per preparare incantesimi.
Non va considerata un’idea superstiziosa, ma piuttosto la consapevolezza (dovuta anche alla pratica) che solo in alcuni giorni dell’anno era possibile ottenere i massimi principi attivi (effetto balsamico) dai poteri vegetali.
Le tradizioni erboristiche antiche rivelano infatti una matura conoscenza della fitoterapia e soprattutto la capacità di creare una simbiosi favorevole con la natura.
Con alcune delle erbe sopra citate era possibile fare “l’acqua di S. Giovanni”: si prendevano fiori di lavanda, iperico, mentuccia, ruta e rosmarino e si mettevano in un bacile colmo d’acqua che si lasciava per tutta la nottata fuori casa. Il mattino successivo le donne prendevano quest’acqua e si lavavano per aumentare la loro bellezza e preservarsi da malattie.
Venivano fatti anche altri tipi di acqua (con altre erbe, variabili a seconda delle regioni) che servivano contro il malocchio, le malattie di adulti e di bambini, ecc.
L’uso di raccogliere le erbe benefiche, la credenza legata alla rugiada di quella notte, l’abitudine di raccogliere le noci per farne un benefico liquore, l’accensione di falò, le danze, le feste, stanno ancora ad indicare che il solstizio estivo è il segno della congiunzione tra la consapevolezza e l’inconscio e che l’unione tra l’Eterno Femminile e L’Eterno Maschile è l’ideale principe del genere umano, ma anche che tale ideale per concretizzarsi deve essere compreso e perseguito.
La tradizione occulta parla di evoluzione della coscienza cosmica e la rappresenta con una spirale, considerando che la spirale terrestre si avvia verso una meta sconosciuta, vede in questo movimento la volontà di una mente superiore, della divinità, che porta con sé o verso di sé la terra. Giungeremo quindi ad un’altra dimensione, la velocità e la capacità dipende dal nostro libero arbitrio. Il movimento del sole è poco conosciuto, ma è chiaro che qualsiasi possibilità della terra è determinata nella quarta dimensione, cioè nel tempo al di fuori di noi e appartenente a una dimensione che non appartiene in questo mondo.
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